La recente disputa tra Arthur Hayes e il CEO di Tether Paolo Ardoino riaccende il dibattito sulla solidità di USDT, la trasparenza delle riserve e il ruolo sistemico della stablecoin più utilizzata al mondo.

Indice
S&P declassa la stablecoin USDT
Il 29 novembre S&P Global ha abbassato il rating di stabilità del peg di USDT al livello più basso, citando un’eccessiva esposizione a beni considerati rischiosi come Bitcoin e oro. L’agenzia ritiene che questa componente “volatilità” non sia coerente con la necessaria stabilità di un asset ancorato al dollaro.
La decisione ha immediatamente generato critiche e preoccupazione sull’affidabilità del modello Tether, già oggetto di analisi da parte dei regolatori. Il downgrade ha inoltre conseguenze operative rilevanti, con un rating pari a “5”, USDT è automaticamente escluso dagli exchange europei regolati da MiCA e non può essere detenuto da fondi istituzionali, creando spazio competitivo per USDC, PYUSD e soluzioni di fiat tokenizzata.
La risposta di Tether: “Analisi incompleta e fuorviante”
Il CEO Paolo Ardoino ha replicato duramente, sostenendo che la valutazione di S&P non considera l’intera struttura patrimoniale del gruppo. In base ai dati del report Q3 2025, Ardoino ha sottolineato che gli asset complessivi del gruppo Tether ammontano a circa 215 miliardi di dollari, a fronte di 184,5 miliardi di passività legate alle stablecoin, ed i profitti nel 2025 hanno superato i 10 miliardi di dollari.
Ha precisato che il gruppo possiede 7 miliardi di equity in eccesso e altri 23 miliardi di utili trattenuti, per un totale di circa 30 miliardi di dollari in equity proprietaria. A ciò si aggiungono circa 500 milioni di dollari di profitti mensili derivanti dai rendimenti dei Treasury statunitensi, una cifra che molti analisti ritengono sottostimata. Ardoino ha accusato i critici di ignorare volutamente questi elementi, affermando che Tether opera con riserve superiori a qualsiasi istituzione finanziaria tradizionale e senza esposizioni tossiche.
Hayes: “Bitcoin e oro possono far crollare USDT”
Arthur Hayes, fondatore di BitMEX, ha lanciato l’allarme sostenendo che Tether sta conducendo un enorme “interest rate trade” basato sulla previsione di tagli ai tassi della Federal Reserve.
Secondo Hayes, una riduzione dei tassi ridurrebbe drasticamente i profitti generati dai Treasury, esponendo Tether al rischio di utilizzare asset più volatili come Bitcoin e oro per compensare tale calo. Hayes afferma che un declino del 30% nel valore combinato di BTC e oro, circa 22,8 miliardi di dollari in totale, cancellerebbe l’equity del gruppo, potenzialmente rendendo USDT insolvente. L’analista Paul Barron ha aggiunto che ogni taglio di 25 punti base da parte della Fed comporterebbe una perdita di circa 318 milioni di dollari in entrate annuali sui Treasury detenuti da Tether.
Gli esperti contestano Hayes
Le tesi di Hayes sono state contestate da Joseph Ayoub, ex responsabile della ricerca sulle risorse digitali per Citi. Ayoub, che dichiara di aver analizzato Tether per centinaia di ore, sostiene che le riserve rese pubbliche non rappresentano l’intero patrimonio del gruppo.
Spiega infatti che Tether utilizza una doppia struttura di bilancio, da un lato le riserve che coprono gli USDT in circolazione, dall’altro un bilancio equity separato che include investimenti, attività di mining, operazioni aziendali e riserve non dichiarate pubblicamente. Ayoub afferma che i profitti derivanti dai circa 120 miliardi di dollari in Treasury generano 10 miliardi di utili annuali, rendendo Tether più capitalizzata della maggior parte delle banche tradizionali.
A differenza dei sistemi bancari, spesso basati su riserve frazionarie del 5-15%, Tether mantiene coperture molto più elevate e con asset altamente liquidi. La sua conclusione è netta. Tether non è vicino all’insolvenza, ma al contrario opera come una “money printing machine” estremamente efficiente. Ayoub ritiene che Hayes abbia ignorato la profittabilità reale, la struttura corporate e i buffer patrimoniali che rendono improbabile uno scenario di collasso.
Maxi Doge: la meme coin che punta ai “massimi”
Mentre USDT affronta scrutinio istituzionale, declassamento del rating e accuse di eccessiva esposizione ad asset volatili, i progetti in fase di prevendita, come Maxi Doge ($MAXI), riescono a cavalcare l’attenzione del mercato sfruttando community e narrativa per attrarre capitali anche in fasi di incertezza.
Maxi Doge è una meme coin ispirata al popolare cane Shiba Inu, come DOGE, BONK e SHIB, ma con una narrativa più aggressiva e ironica che lo posiziona come il “cugino muscoloso e frustrato di Doge”.
Il token $MAXI unisce estetica e funzionalità reali, includendo staking per gli investitori con rendimento annuo del 72%, accesso a tornei di trading a premi e una roadmap orientata alla gamification e iniziative della community. In aggiunta, il progetto mira a espandersi verso piattaforme futures, in modo da poter offrire trading a leva fino a 1000x, puntando a catturare l’interesse dei trader.
La prevendita è attiva sul sito ufficiale, al prezzo di 0,000271 dollari per token, dove ha già raccolto oltre 4,2 milioni di dollari, in vista della quotazione del token sugli exchange.
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