La diffusione dei pagamenti senza contanti in Italia mostra una crescita sempre più evidente documentata dai numeri. Le transazioni cashless sono passate da 174 miliardi di euro a 471 miliardi di euro nell’arco di dieci anni, e rappresentano oggi oltre il 40% dei consumi (nel 2015 si fermavano al 17%). Questa evoluzione indica un cambiamento nelle abitudini, una maggiore familiarità con gli strumenti digitali e un miglioramento delle infrastrutture. Nonostante tutto, però, non basta per eliminare il divario che separa il Belpaese da molte realtà europee che hanno già raggiunto una maturità superiore nel settore.

Italia cashless, ma ancora lontana dal resto d’Europa

Il comparto industriale legato ai pagamenti digitali riflette una dinamica chiara, ma che richiede un approfondimento. Nel 2023 ha registrato un fatturato pari a 16,8 miliardi di euro, con una crescita del 104,9% rispetto al periodo precedente. L’espansione del settore coinvolge anche il mercato del lavoro, che oggi conta 34.400 occupati, pari ad un incremento del 20,8% dal 2014. Questo sviluppo conferma l’impatto economico dei sistemi cashless, oltre alla forte diffusione delle carte di credito, come quelle prodotte da Nexi, e degli altri metodi di pagamento senza contante.

Nonostante i progressi, però, l’Italia non riesce a colmare il distacco che si è creato negli anni con molti paesi europei. Il nostro Paese ha migliorato la propria posizione nel Cash Intensity Index, raggiungendo il 31° posto, ma il livello di utilizzo del contante resta più alto di 1,6 punti percentuali rispetto alle medie UE. L’indicatore evidenzia una dipendenza ancora marcata dal denaro fisico, al contrario di altri Stati europei, che hanno invece accelerato la diffusione dei pagamenti digitali tramite politiche mirate e infrastrutture capillari.

La distanza emerge anche dal confronto sul Cashless Society Index, che posiziona l’Italia al 20° posto: il miglior risultato mai registrato dalle nostre parti, ma comunque inferiore rispetto a Spagna, Germania e Francia. In questi Paesi l’integrazione dei pagamenti digitali nella vita quotidiana procede più velocemente, sia per una maggiore propensione culturale sia per un quadro normativo più orientato alla digitalizzazione dei servizi. L’Italia, invece, presenta una minore abitudine all’uso degli strumenti elettronici, che vengono scelti prevalentemente per le spese rilevanti, mentre il contante continua a dominare negli acquisti frequenti e di basso importo.

Gli altri dati sull’Italia e sui pagamenti cashless

Il divario riguarda anche il rapporto tra pagamenti digitali e produzione economica. In Italia il valore delle transazioni cashless rappresenta il 25% del PIL, mentre la media dei Paesi UE-27 raggiunge il 28%. La differenza appare contenuta ma indica, comunque, una forte distanza strutturale nell’adozione stabile e diffusa delle tecnologie digitali. A conferma di ciò, l’importo medio delle transazioni cashless in Italia supera la media europea di 11 euro: un dato che indica un minor utilizzo quotidiano per i pagamenti di piccolo importo.

Il ritardo italiano ha delle ricadute anche sul fronte fiscale. Nel 2022 il Paese ha generato il 18,3% dell’intero Vat Gap dell’UE-27, registrando il dato peggiore dell’Unione Europea. Un uso più limitato dei pagamenti digitali, infatti, mantiene elevato il divario tra IVA attesa e IVA effettivamente incassata.

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