Amazon ha chiuso la partita con il fisco italiano versando 511 milioni di euro, una cifra che rappresenta una frazione considerevole rispetto ai 3 miliardi inizialmente ipotizzati dalla Procura di Milano. L’accordo permette al gruppo di Jeff Bezos di definire le contestazioni relative a presunte irregolarità fiscali del periodo 2019-2020, anche se le indagini della magistratura proseguiranno. A questa somma vanno aggiunti i circa 180 milioni già versati da due società del gruppo per una diversa contestazione.
Per comprendere le dimensioni dell’operazione, è utile ricordare che la Procura aveva contestato una frode fiscale da 1,2 miliardi di euro, legata all’evasione dell’IVA da parte dei venditori cinesi che utilizzano il marketplace. Con sanzioni e interessi, il totale si avvicinava ai 3 miliardi. Il risparmio per Amazon si aggira quindi intorno ai 2,5 miliardi di euro, un risultato che testimonia la complessità delle trattative tra grandi multinazionali e autorità fiscali nazionali.
Indice
Il peso di Amazon nell’economia italiana
I numeri comunicati dall’azienda americana tratteggiano un operatore di primo piano nel panorama economico italiano. Amazon dichiara di essere tra i primi 50 contribuenti in Italia e uno dei maggiori investitori esteri nel Paese, con oltre 25 miliardi di euro investiti negli ultimi 15 anni. Sul fronte occupazionale, il gruppo impiega direttamente più di 19.000 persone, a cui si aggiunge un indotto significativo legato alla logistica e ai servizi connessi.
Questi dati rendono particolarmente significativa la critica mossa dall’azienda al sistema italiano. Amazon ha infatti sostenuto che contesti normativi imprevedibili, sanzioni sproporzionate e procedimenti legali prolungati incidono negativamente sull’attrattività del Paese come destinazione di investimento. Una posizione che solleva interrogativi sul rapporto tra politica fiscale e competitività economica.
Le questioni normative al centro della vicenda
Al cuore della controversia c’è il decreto legge 34 del 2019, che ha introdotto specifici obblighi fiscali per le piattaforme digitali che facilitano le vendite a distanza nell’Unione europea. Secondo gli inquirenti, l’algoritmo predittivo di Amazon non terrebbe adeguatamente conto di questi obblighi tributari per i venditori extraeuropei, principalmente cinesi, che operano sul marketplace italiano. La normativa prevede che la piattaforma sia considerata debitore d’imposta quando non trasmette correttamente i dati sui fornitori.
Dal giugno 2021 l’Italia ha inoltre recepito la direttiva europea 2017/2455 sull’IVA per le vendite a distanza, aggiornando il quadro regolamentare. La complessità di queste norme e la rapidità con cui evolvono rappresentano una sfida sia per le aziende che per le autorità di controllo.
Prospettive e implicazioni per il mercato
L’accordo raggiunto rappresenta un compromesso che lascia aperte diverse questioni. Se da un lato Amazon può tirare un sospiro di sollievo per aver evitato un esborso ben più consistente, dall’altro la vicenda evidenzia le tensioni crescenti tra i grandi operatori dell’e-commerce e i sistemi fiscali nazionali. La magistratura continuerà a indagare, e tre manager restano sotto inchiesta per dichiarazione fraudolenta.
Per gli osservatori del settore, questo caso offre spunti di riflessione importanti. La capacità delle autorità italiane di far valere le proprie ragioni, pur arrivando a un accordo significativamente inferiore alle richieste iniziali, testimonia la complessità di queste vertenze. Al tempo stesso, le critiche di Amazon al sistema italiano pongono il tema della certezza del diritto e della prevedibilità normativa come fattori determinanti per le scelte di investimento delle multinazionali.
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