Alla fine, la tanto temuta Brexit è apparsa in un mese di giugno già di per sè piuttosto ricco di spunti, andando ad abbattersi con tutta la sua violenza su un mercato valutario che da settimane attendeva tale momento.

E, si noti, l’abbattimento è stato piuttosto drastico, soprattutto per coloro che nei giorni precedenti al referendum Brexit si erano ottimisticamente riposizionati sulla sterlina nella speranza (tradita) che il voto sulla permanenza nell’Unione Europea fornisse riscontri positivi per il fronte “Remain”. Tuttavia, come ben noto, a vincere è stata la maggioranza per il fronte “Leave”, con tutto ciò che ne è conseguito nelle ore successive.

Come ha reagito la sterlina

Nel giorno del voto il cambio dollaro per sterlina era riuscito a salire oltre quota 1,5, ai massimi dallo scorso mese di dicembre. Tuttavia, da tale picco la valuta britannica è repentinamente scesa fino a un minimo di 1,3229 dollari nella notte, quando i numeri provenienti da Londra hanno confermato che il voto sarebbe stato favorevole all’uscita dall’Ue.

Una tendenza poi confermata nell’arco delle ore successive, piuttosto turbolente, che hanno prodotto per la sterlina un drastico ritorno al passato: era infatti dal 1985 che il cambio del dollaro-sterlina non scendeva verso quota 1,32. Una perdita di 11 punti percentuali nel cambio contro dollaro, per il passo indietro più ampio della sua storia, e per il maggior calo giornaliero di sempre tra le principali coppie di valuta internazionali.

E l’euro?

Passando all’euro, la svalutazione della sterlina si è naturalmente vista anche contro la valuta unica. Se infatti il giorno prima del referendum servivano 1,31 euro per comprare una sterlina, dopo la pubblicazione dei risultati, il cambio è sceso fino a 1,20, sui livelli di oltre due anni fa.

Si noti, ricollegandoci alle conclusioni del paragrafo precedente, come in realtà il calo della sterlina sull’euro sia stato molto meno violento di quanto invece avvenuto nei confronti di dollaro (e di yen). E la ragione è abbastanza semplice: per quanto secondariamente rispetto alla sterlina, anche l’euro si è indebolito, poichè anche se la Gran Bretagna non faceva parte dell’Eurozona, la sua uscita dall’Unione Europea non può che risollevare grandi timori sulla tenuta della moneta unica. E di fatti, l’euro contro dollaro è sprofondato fino a un minimo di 1,09, contro quota 1,14 prima del referendum.

Cosa accadrà ora?

Archiviato rapidamente quel che accadrà, non possiamo che concentrarci nel prevedere  quel che succederà nei prossimi giorni, settimane e mesi. In realtà, mai come questa volta non è facile cercare di illustrare un percorso previsionale, visto e considerato che il mercato – che si trova in condizioni di fortissima volatilità – si trova in un territorio mai esplorato in precedenza, ed è preoccupato principalmente per un rischio di natura politica.

Tuttavia, guai a pensare che il rischio sia solamente di natura politica. C’è infatti anche il problema finanziario legato al collasso delle quotazioni delle banche in tutta Europa (in Italia sono diversi gli istituti bancari che hanno ceduto oltre il 15%/20%): appare chiaro come le banche siano infatti l’anello debole della catena, almeno in questa fase.

Il ruolo delle banche centrali

In conclusione, per poter comprendere in che modo si evolveranno i rapporti tra le principali coppie di valute, e in particolar modo tra euro e sterlina, nel corso delle prossime settimane, sarà fondamentale cercare di comprendere cosa faranno le banche centrali, che in questa fase (e non solo) ricopriranno il ruolo di principale market mover. È comunque molto probabile che la sterlina rimarrà ancora sotto pressione, e ci vorrà del tempo (forse molto tempo) perchè la situazione possa nuovamente ristabilizzarsi.

Torneremo sul tema nei prossimi giorni.

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