Il cambio euro dollaro ha terminato la settimana poco mosso al di sotto di quota 1.1800, dopo essere cresciuto nelle sei settimane precedenti.

La debolezza del dollaro è stata esacerbata questa settimana dalla mancanza di progressi sui nuovi pacchetti di aiuti USA per fronteggiare il coronavirus. I repubblicani e i democratici al Congresso sono ancora lontani su alcune questioni molto significative, e dunque non è stata trovata alcuna intesa sui nuovi supporti che sostituiranno quelli scaduti a luglio.

A proposito di coronavirus, è evidente che sia sempre più la pandemia il nemico numero  1 delle economie mondiali. Gli Stati Uniti hanno superato i 5 milioni di casi, mentre il numero dei morti è superiore a 162 mila. L’ultima proiezione mostra che questo numero potrebbe raggiungere quota 300 mila unità entro dicembre.

Le cose vanno solo moderatamente meglio in Europa, che però sembra essere sull’orlo di una seconda ondata. Proprio questa settimana, il numero di casi locali giornalieri ha superato i 1.000 in Germania, Francia e Spagna, mentre ieri ha superato quota 500 anche in Italia. L’aumento dei contagi è accompagnato dalla graduale riapertura delle attività economiche e… non è certamente una nuova coincidenza. Finora i nuovi blocchi sono stati concentrati in alcuni territori piuttosto ristretti, ma non è detto che la situazione non possa inasprirsi se i numeri continueranno a salire.

Anche le turbolenze politiche sono state un fattore importante in questi giorni costituendo, di fatto, la ragione principale per cui il dollaro si è rafforzato in vista della chiusura settimanale. Venerdì scorso, le agenzie di stampa hanno riferito che l’amministrazione statunitense sta considerando di espandere la sua azione contro la Cina, sanzionando il leader di Hong Kong Carrie Lam. All’inizio della settimana, il presidente americano Trump ha emesso un ordine che vieta a TikTok e WeChat di operare negli Stati Uniti nei prossimi 45 giorni, se le app non vengono venduti dalle società cinesi.

I dati diffusi in questi giorni hanno mostrato che la situazione è peggiore negli Stati Uniti che nell’UE, almeno per ora. Le versioni finali delle PMI Markit Manufacturing sono state riviste al rialzo nell’Unione e declassate negli Stati Uniti. L’ISM Manufacturing PMI ufficiale degli Stati Uniti è arrivato infatti a 44,3 punti, indicando ancora una contrazione del settore.  Anche la produzione di servizi è più forte nel Vecchio Continente che in America, secondo Markit, sebbene il PMI ufficiale dell’ISM Markit Manufacturing degli Stati Uniti sia salito a 58,1 punti.

Sempre in ottica di dati fondamentali, un positivo report mensile sull’occupazione negli Stati Uniti non è riuscito a salvare il biglietto verde. Secondo il rapporto Nonfarm Payroll, il Paese ha aggiunto 1,76 milioni di posizioni a luglio, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 10,2%. Il tasso di sottoccupazione è migliorato dal 18% al 16,5%, mentre il tasso di partecipazione della forza lavoro è salito al 61,4%. In ogni caso, la maggior parte dei dati USA diffusi in questi giorni, tra cui quello relativo all’occupazione, suggerisce che l’economia ha continuato a rallentare nel mese di luglio.

Per quanto attiene infine le prospettive tecniche, nonostante la tenuta recente, la coppia EUR/USD sta perdendo il suo slancio rialzista che, però, costituisce ancora oggi lo scenario centrale. Bisognerà tuttavia tenere conto di come il cambio reagirà di fronte alle resistenze poste a quota 1,1830 e 1,1915, e successivamente sulla soglia psicologica di 1,2000.

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