L’anatocismo bancario è una delle pratiche che nel corso degli ultimi anni ha moltiplicato il volume dei contenziosi tra gli utenti dei servizi bancari e gli istituti di credito. Ma che cosa è? E che cosa si può fare contro di esso?

Anatocismo bancario, cos’è e significato

L’anatocismo bancario è una pratica molto diffusa fino a poco tempo fa (e ancora in uso presso alcuni istituti) secondo cui gli interessi a debito del correntista venivano liquidati sul conto corrente con una frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito venivano liquidati con una cadenza annuale.

La conseguenza di quanto sopra era ben presto individuabile: il suddetto disallineamento tra gli interessi maturati a debito e gli interessi maturati a credito determinava infatti la formazione dell’anatocismo bancario, ovvero del calcolo degli interessi sugli interessi.

Anatocismo e interessi passivi, come si calcola

Sulla base di quanto sopra, un esempio potrebbe probabilmente aiutare a comprendere meglio quale sia la relazione tra anatocismo e interessi passivi.

Immaginiamo infatti di avere un conto corrente in rosso (saldo negativo) per 10 mila euro. Ogni tre mesi l’istituto di credito addebitava i relativi interessi. Immaginando che questi fossero a un tasso del 10%, significava un onere di 250 euro che andava a peggiorare il saldo debitore (al netto di altri movimenti, diventava 10.250 euro -), producendo ulteriori interessi per il trimestre successivo, e così via.

Di fatti, i successivi 10.250 euro andavano ad essere il capitale sul quale venivano calcolato i nuovi interessi, procedendo con un meccanismo di conteggio degli interessi sugli interessi che, alla fine, andava a gonfiare oltre modo quando dovuto dal cliente dell’istituto bancario.

Giurisprudenza e sentenze

Fortunatamente, a porre fine a questa pratica piuttosto dannosa per le tasche dei clienti dell’istituto di credito è intervenuta la giurisprudenza, con numerose sentenze che hanno costituito un valido percorso suggellato dalla sentenza n. 21095 del 4 novembre 2004, con la quale le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dichiarato l’illegittimità, anche per il passato, degli addebiti bancari per anatocismo.

Con tale nota pronuncia la Corte di Cassazione ha stabilito che le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori che sono risalenti al periodo precedente al 1999 sono da ritenersi non rispondenti a un uso normativo, ma solo negoziale, e dunque in contrasto con quanto stabilito dal’art. 1283 del Codice civile. In termini sintetici, la sentenza ha affermato che le clausole introduttive l’anatocismo erano state accettate non tanto perchè gli utenti fossero convinti della loro rispondenza a principi dell’ordinamento giuridico, quanto perchè erano costretti ad accettarle per poter accedere ai servizi bancari. Un atteggiamento che gli Ermellini hanno indicato essere piuttosto lontano dall’accettazione spontanea che invece dovrebbe contraddistinguere la consuetudine.

Peraltro, la vicenda non si è certamente conclusa qui, visto e considerato che nel decennio successivo a tale affermazione da parte della Corte di Cassazione si sono comunque avuti numerosi ricorsi e contenziosi. La conseguenza della pronuncia del 2004 ha infatti indotto molte banche a limitarsi (piuttosto lentamente) ad allineare la capitalizzazione degli interessi debitori e creditori nello stesso periodo (trimestrale), senza tuttavia cessare l’abitudine di produrre interessi su interessi.

Per poter arrivare a un pieno punto di svolta si è dunque dovuta attendere la sentenza n. 9127 del 6 maggio 2015, da parte della Cassazione, con la quale si è affermata l’illegittimità della capitalizzazione annuale degli interessi. Nella pronuncia, piuttosto chiara, la Corte precisa che l’illegittimità dell’anatocismo era già stata affermata più volte in passato, per poi aggiungere che “assolutamente arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione annuale. Prima che difettare di “normatività “, usi siffatti non si rinvengono nella realtà storica, o almeno non nella realtà storica dell’ultimo cinquantennio anteriore agli interventi normativi della fine degli anni novanta del secolo passato: periodo caratterizzato da una diffusa consuetudine (non accompagnata però dalla opinio iuris ac necessitatis) di capitalizzazione trimestrale, ma che non risulta affatto aver conosciuto anche una consuetudine ai capitalizzazione annuale degli interessi debitori, ne’ di necessario bilanciamento con quelli creditori”.

Insomma, la pratica di addebitare interessi su interessi (anatocismo bancario) è illegittima, sia con periodicità trimestrale che con periodicità annuale.

Storia dell’anatocismo

Non tutti sanno che il divieto dell’anatocismo è sempre esistito all’interno del nostro ordinamento, in virtù della presenza del già ricordato art. 1823 del Codice civile. Nonostante ciò, le banche hanno per lungo tempo applicato la metodologia del calcolo degli interessi passivi come sopra descritto, anche perchè supportate da una giurisprudenza abbastanza favorevole in tal senso.

Gradualmente, però, la visione dei giudici nei confronti di questo tema è stata parzialmente modificata, con un crescere di sentenze favorevoli ai consumatori dei servizi bancari, fino a giungere alla segnalata sentenza n. 21095 del 4 novembre 2004 da parte della Corte di Cassazione.

Prima di tale sentenza, invece, l’art. 120 d.lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario), introdotto da un decreto legislativo del 1999, aveva previsto la possibilità di stabilire, mediante apposita delibera del CICR, modalità e criteri di produzione degli interessi sugli interessi, maturati nell’esercizio dell’attività bancaria, purchè fosse rispettata la stessa periodicità nel conteggio di saldi passivi e attivi.

Peraltro, con lo stesso decreto il legislatore introduceva una sorta di sanatoria per il pregresso, facendo salve le clausole di capitalizzazione trimestrale che erano contenute nei contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina. Tuttavia, la norma è stata ritenuta illegittima, per violazione dell’art. 77 della Costituzione, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 435 del 17 ottobre 2000.

Anatocismo bancario e usura

Come intuibile, la vicenda sopra riassunta relativa all’anatocismo bancario ha finito con il generare ulteriori ripercussioni sull’usura, considerato che in alcuni casi gli interessi su interessi, se ricondotti all’interno del calcolo del TAEG, provocavano il superamento delle soglie limite stabilite dalla Banca d’Italia.

Una ulteriore “complessità” all’interno delle relazioni tra associazioni dei consumatori e banche, che ha determinato una sorta di esplosione di cause, giudiziarie ed extra giudiziarie, molte delle quali ancora in corso, con esiti incerti.

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