Le azioni Ferrari tornano sotto pressione dopo la temporanea tregua di fine settimana. A inizio ottava, il titolo di Maranello è scivolato fino ai 340 euro per azione, perdendo oltre l’1,4% e piazzandosi in coda al Ftse Mib, mentre il listino principale di Piazza Affari segnava un modesto rialzo dello 0,4%. Un segnale chiaro: il mercato continua a diffidare e non considera ancora conclusa la fase correttiva seguita al Capital Markets Day 2025.

Un grafico a candele con una freccia rossa verso il basso e logo ferrari
Ferrari – MeteoFinanza.com

Il rimbalzo di venerdì è apparso un semplice respiro tecnico. La nuova discesa di oggi, invece, conferma che molti investitori non ritengono ancora pienamente scontato l’impatto dei target 2030 inferiori alle aspettative. Dopo anni di performance eccezionali, Ferrari sta affrontando un periodo di assestamento che il mercato non perdona.

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Una pioggia di downgrade e obiettivi ridotti

La prova tangibile di questa fase di incertezza arriva dalle sette revisioni al ribasso dei target price emesse da alcune delle principali case di analisi internazionali. Tutti gli analisti hanno confermato il proprio giudizio sul titolo, ma hanno ridimensionato in modo sensibile le valutazioni sul potenziale di crescita futura. In gergo finanziario, un target price più basso implica un upside ridotto, ossia minori margini di guadagno potenziale rispetto alle quotazioni attuali.

Nel dettaglio, RBC Capital ha mantenuto la raccomandazione Buy ma abbassato il prezzo obiettivo da 475 a 460 euro, mentre Deutsche Bank ha tagliato il suo da 520 a 500 euro, pur ribadendo la fiducia nel marchio del Cavallino Rampante. Bank of America Merrill Lynch ha compiuto una mossa simile, portando il target a 450 euro, evidenziando un rallentamento nelle prospettive di crescita a medio termine.

Più cauta HSBC, che ha confermato il rating positivo ma ha ridotto il target a 415 euro, mentre ODDO BHF ha rivisto la stima a 430 euro, mantenendo un giudizio Outperform e interpretando il recente calo come una potenziale occasione d’acquisto. All’opposto, Citigroup resta l’analista più pessimista: rating Sell e target portato a 340 euro, in linea con i valori attuali di mercato.

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Perché il mercato ha punito Ferrari

Il crollo del titolo non nasce da dati negativi, ma da una revisione delle aspettative. Il piano industriale presentato da Benedetto Vigna è stato accolto con freddezza perché ritenuto troppo prudente rispetto alla tradizionale ambizione del marchio. Le nuove stime indicano ricavi intorno ai 9 miliardi di euro e un utile operativo di circa 2,75 miliardi entro il 2030, con una crescita media del 6% annuo. Obiettivi solidi, ma lontani dal ritmo del 10% previsto nel piano al 2026.

Per un titolo come Ferrari, abituato a superare ogni previsione, questa moderazione è stata interpretata come un rallentamento strutturale. Tuttavia, la strategia di Maranello appare in realtà orientata a rafforzare la redditività e la qualità, privilegiando una crescita sostenibile e controllata piuttosto che l’espansione aggressiva dei volumi.

A influenzare il crollo ha contribuito anche la componente speculativa: dopo un decennio di rialzi esplosivi, con un incremento del 1660% in dieci anni, molti investitori hanno scelto di monetizzare i profitti o di sfruttare la volatilità con vendite allo scoperto. Il risultato è stata una correzione amplificata dalle dinamiche di breve periodo.

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Una fase di transizione, non una crisi strutturale

Nonostante il recente calo, Ferrari resta una società solida e redditizia, con margini operativi tra i più alti dell’intero settore automobilistico. Il gruppo prevede 7 miliardi di euro complessivi tra dividendi e buyback entro il 2030, confermando una politica di remunerazione generosa per gli azionisti.

La reazione negativa dei mercati non sembra quindi legata ai fondamentali, ma alla fine di un ciclo di crescita euforica che aveva portato il titolo ai massimi storici. È un passaggio fisiologico per un brand che, dopo anni di corsa, sceglie di mettere in sicurezza il proprio vantaggio competitivo.

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